venerdì 29 gennaio 2010

semi


Una pausa tra tutti questi post "indianosi" ci vuole.
G. - il cameriere dello showroom in cui lavoro - me lo dice tutti i giorni: " 'A Paola ... te la sei proprio presa ammale con questa India, eh??? ". Come dargli torto. Entro in cucina sospirando e parlo solo di quello. Poi torno di là e vendo una serie di abiti che in negozio costano 1000 euro.
Devo lavorare sulla mia vita.
Nel frattempo, regalo libri sull' India agli amici e a mia madre ( ma non dovevo fare una pausa? ) e semino.
La veranda della casa di campagna è diventata una piccola serra. E, in attesa di quella grande che il Moschettiere ci ha promesso, piantiamo semi, cambiamo vasi.
Mettiamo piatti vintage dipinti a mano come sottovaso. Il pavimento in pietra è troppo freddo.
Francesco si guarda il pollice nella speranza che diventi verde come gli ho promesso ( sì, lo so, lo so ... ).
Io sistemo le roselline che stanno rinascendo, la lavanda e il melograno nano, nel cui vaso è spuntata una dedica d' amore scritta su un melograno gigante.
Forse, oltre che sulla mia vita, devo lavorare anche sui miei fiori. Lo farò, ma immersa nell' umidità di una grande serra ai piedi della collina.
Lì, immersa tra le piantine di fragole e maggiorana, metterò anche io i guanti.
Nel frattempo, io e Francesco aspettiamo che il giuggiolo turco che ci ha portato N. fiorisca.
Eh, sì. Seminare vuol dire anche aspettare. E noi siamo impazienti.

lunedì 25 gennaio 2010

la città della gioia

Ora che son stata in India, ho l' impressione che tutto debba girare intorno a questo.
Se mio figlio fosse stato più grande e non fosse un posto dove la cosa migliore che tu possa prendere è il colera, sarei già partita alla volta di Calcutta. Ma questa volta per viverci. Lo so, il pensiero anche lontano di portarci mio figlio può farmi passare per pazza. Però c' è un lato positivo: si farebbe degli anticorpi che nemmeno salendo sulla metropolitana in Duomo alle sei di una sera di Dicembre, potrebbe beccare qualcosa.
Il Moschettiere ha promesso di seguirmi in capo al mondo, quindi su questo nemmeno discuto.
Non so, è come se dentro di me qualcosa fosse cambiato.
Io lo so. Sono fatta così. A me basta una cavolata e sono triste o allegra per ore, giorni.
Molte notti sto sveglia e penso a delle cavolate.
Immagino dialoghi, scontri verbali, risate, chiarimenti. Fra un po' monto un teatrino e ricostruisco le scene. Perchè io sono una pesante. Sono una che finchè tutto non è chiarito, finchè non ho detto tutto quello che dovevo dire, finchè non mi sembra di avere la soluzione, finchè non so tutto, io non mi dò pace.
Sono stata capace di vagare per ore tra le colline di lavanda per il nervoso. O di sistemare quintali di legna nella legnaia. O di scrivere sul mio "libricino dello sfogo" ( ebbene sì, ce l' ho ) per ore disegnando poi qualcosa come qualche migliaia di margheritine.
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Su queste basi, continuerò a pensare all' India credo per anni.
O meglio, non me la leverò mai dalla testa. E' come se avessi dentro dell' esplosivo. E l' unico modo per farlo esplodere ( e non implodere ) è tornare là.
Come se non bastasse, io che vanto tra i miei più grandi difetti l' autolesionismo/masochismo, sto rileggendo - questa volta in inglese - "La città della gioia", di Dominique Lapierre.
Ecco, quello che è scritto in quelle pagine, io l' ho visto. Non proprio tutto, perchè i protagonisti vivono in uno slum di Calcutta, in cui io ho non sono entrata.
Però il dolore di quella gente che abita i marciapiedi, di quei "cavalli umani" che portano orgogliosi i loro risciò sputando sangue ( letteralmente ), di quei fedeli urlanti che imprecano i loro Dei colorati o la Dea Kali che taglia le teste io l' ho visto.
Io quel dolore l' ho visto.
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So che c' è tanto da fare. In tutto il mondo. Ora un terremoto ha distrutto anche Haiti.
Ma io ora ho in testa l' India. E' troppo quello che ho visto.
Ma se vi capiterà di leggere quel libro, lo so, ne sono sicura, mi capirete.
E sentirete il bisogno - fisico - di andare là.
Ad aiutare "the lights of the world".

p.s. a parte gli scherzi: mi faccio paura da sola. Se vado avanti così mi viene un coccolone. Non posso mica piangere sul treno perchè a metà libro viene raccontata la storia di un lebbroso a cui viene amputato un braccio e lui era già senza tutte e due le gambe. Non è che non posso. Posso anche piangere. Ma le cose son due: o mi faccio crescere il pelo sullo stomaco come il Moschettiere o torno lì la prossima settimana. Il tempo di vaccinare Francesco. E di farmi denunciare e poi trucidare da suo padre. Ecco, così evito tutto l' iter burocratico. Lo dico al mio ex-marito e mi uccide prima che possa anche immaginare di mettere piede sull 'aereo con mio figlio. Che bello essere liberi.

domenica 17 gennaio 2010

al chiar di luna - pesantezze tra le luci dello showroom e la nebbia di Milano

sì, lo so, è giorno, non c' è la luna.
e io sono in showroom: un' altra campagna vendite, un' altra presentazione alla stampa, un' altra sfilata, un' altra sfilza di persone pretenziose da accontentare.
quanto mi è diventato stretto questo mondo di stracci? quanto poco mi interessa porgere un capo parlando della mano pregiatissima del tessuto di cui è fatto? stare attenta all' etichetta, a come mi porgo, parlo, muovo, siedo?
domande retoriche ovviamente.
veramente anche prima non me ne poteva fregare di meno. però ero una ragazzina abbagliata dalla leggerezza di questo mondo, che arrossiva ad uno sguardo. e che amava fermarsi a sistemare la collezione fino a mezzanotte e, come se fosse mezzogiorno, girava a piedi nudi per lo showroom mentre gli stilisti mettevano Barry White e ballavano.
ora invece, chiusa in questa gabbia dorata, alla donna che sono oggi, sembra di stare al chiar di luna. troppe preoccupazioni. troppi pensieri per poter stare sulla superficie di questa tavola imbandita di leggerezza. troppi affetti a casa. troppa volgia di stare con Francesco oggi che è domenica. troppe immagini di sofferenza estrema che da un oaio di settimane albergano nella mia mente.
troppe menate per riuscire a vedere che fuori è giorno. oggi ho l' impressione di uscire e vedere la luna.
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Milano questa mattina sembrava più bella del solito. L' ultima volta che ci sono venuta, settimana scorsa, ero reduce dall' India e in preda all' influenza vomitina, e l' ho attraversata per presenziare alla presentazione stagionale della mitica collezione.
vabbè, dire che ero presente è una parola grossa. sono arrivata come un automa e in preda ai conati mi sono trascinata fino ad una sedia. da qui ho fatto violenza su me stessa per scrivere tutto quello che si stava dicendo perchè penso di non aver capito il senso di una sola parola da quanto mi sforzavo di non vomitare in faccia al direttore commerciale.
ah, la moda. ah, Milano.
la città in cui sono nata. e che un po' ho rinnegato.
ma l' ho fatto per lasciar spazio alla campagna, che già premeva nel mio cuore per allargarsi dentro di me.
il Moschettiere, poi, con un colpo di spada ci ha messo un secondo per portarmi nel suo mondo. di prati, boschi, fiori. di un cielo che a Milano te lo scordi. perchè è pieno di stelle.
e poi la luna. quella luna che solo pochi giorni fa guardavo dal cortile di un haveli ai confirni del Rajastan.
ci mancava anche l' India. che già pensavo poco io.
Mamma quanto sono pesante oggi ... ( ci sono i clienti oggi che fanno a gara per lavorare con me, da quanto ho la faccia simpatica e accogliente ).
Al chiar di luna
Calma, calma questo cuore agitato
tu, notte tranquilla di luna piena.
Troppe gravi preoccupazioni,
più e più volte gravano sul mio cuore.
Versa tenere lacrime
sopra brucianti pene.
Con i tuoi raggi argentati,
portatori di sogno e di magia,
morbidi come petali di loto,
o notte, vieni, accarezza
tutto il mio essere
a fammi dimenticare
tutte le mie pene.
Rabindranath Tagore
p.s. nella foto cartello fotografato per le strade di Nuova Delhi

sabato 9 gennaio 2010

India

A Natale abbiamo riempito la casa di bianco e beige. Rose, candele, passamanerie antiche, nastri, stelle.
Poi abbiamo aperto i regali: il Moschettiere ha ricevuto da me un vecchio mobile verde acqua trovato da un venditore di meravigliosi oggetti d' altri tempi, un selzer vintage ( ehm ... strane collezioni ) e un buono da spendere al Brico, uno dei suoi posti preferiti.
Io, da parte sua, ho ricevuto l' India.
Vedere questo paese ( Jaipur in particolare, la citta' rosa ) era uno dei miei sogni, ma ho sempre rimandato questo viaggio pensando di non essere pronta ad affrontarlo, pensando di dover essere piu' matura e consapevole; pensando che per carattere non avrei mai potuto affrontarla. Invece l' ho fatto, con dolore e stupore. Da madre, poi, mi faceva ancora piu' paura, perche' sapevo che avrei visto la sofferenza di molti bambini.
Dopo aver rischiato di morire per qualche pallottola vagante in Brasile e aver pregato che tutti i semafori sudafricani non diventassero rossi costringendomi a fermarmi e rischiando di essere derubata, pensavo che la poverta' fosse uguale in tutto il mondo. Pensavo che la poverta' riducesse qualsiasi essere umano nello stesso modo.
Invece mi sbagliavo. Il Moschettiere, che conosce bene l' India e che me l' ha "regalata", mi ha sempre detto che secondo lui gli indiani non hanno dignita', purtroppo.
Secondo me non e' vero, perche' morire di fame e non rubare nemmeno un' arancia o una mela dal carretto che le vende accanto a te e' dignita'.
Si', questa e' dignita'. Non puntare un coltello al collo di un turista per 10 dollari come succede in altre parti del mondo. Non spaccare il vetro di una macchina ferma al semaforo per rubare una borsa. Non minacciare, guardare male, pedinare.
No. Gli indiani ti guardano con gli occhi che piangono e vorrebbero tanto, tutti, che tu dessi loro qualche cosa. Ma non guardano la tua borsa. Ti guardano in faccia. E magari ti invidiano. Magari. Forse perche' tu hai i vestiti. Perche' tu non vivi su un marciapiede e non lavi tuo figlio con l' acqua della fogna in mezzo alla strada. Perche' tu non condividi con i topi, i cani, le capre, le mucche - sacre - quel poco che hai.
Nonostante tu abbia tutto e loro niente, non cercano di prendere quello che loro non hanno.
L' India e' indescrivibile. E' magica e tragica allo stesso tempo.
E una volta che l' hai vista, niente puo' essere piu' come prima.
Io e il moschettiere abbiamo salutato il nuovo anno da un giardino incantato di un castello antico del Rajastan, a Mandawa. Incontrato carovane di dromedari e carri che trasportavano quintali di miglio. Guardato con occhi spalancati i palazzi di Jaipur e contrattato per antichi gioielli d' argento. Ci siamo baciati sotto il Taj Mahal, meraviglioso monumento, omaggio d' amore. Girato velocissimi su un riscio' tra i vicoli della vecchia Delhi. Evitato di investire le migliaia di mucche che beatamente sostano ai semafori. Ammirato palazzi antichi - haveli - e fortezze raggiunte sul dorso di un elefante decorato. Passeggiato per i coloratissimi templi del Sud e immaginato l' India coloniale degli inglesi sulla costa vicino all' antica Madras, dove abbiamo acquistato delle stoffe meravigliosamente ricamate, accanto alle future spose indiane che compravano i sari per il matrimonio. Guardato dalla macchina centinaia di casette fatte con le torte di cacca di mucca, usata per cucinare. Ammirato dipinti antichi di fiori e sculture scavate nella roccia vicino all' oceano. Lanciato i fiori di ibiscus al tempio dedicato a Kali, a Calcutta, tra fedeli piangenti, supplicanti, urlanti, in un tumulto di voci, urla, preghiere, suoni, colori. Acquistato stickers e immagini di questi Dei sempre cosi' sorridenti, rotondi, colorati. Osservato il puja, il rito della purificazione, sul fiume sacro Hoogly, dove gli abitanti di questa citta' si recano tutte le mattine per lavarsi e rendere omaggio agli Dei.
E camminato sperando che tutto quello che quella gente, quei bambini stavano vivendo non fosse vero. Che nulla ci fosse, che la poverta' non esistesse. Nemmeno i palazzi, gli elefanti, le mucche, il miglio, le banane, i templi, il fiume, i marciapiedi delle citta'.
Che nulla ci fosse, perche' così quella poverta' non esisterebbe.
L' India: