lunedì 29 marzo 2010

cronache di una nonna ( Mamma che ridere! Anche no )

Non so se questo sia trapelato dai miei post, ma mia madre è una tipa un po' particolare.

La regola numero uno per andar d' accordo con lei è: non contraddirla MAI. Nemmeno in pericolo di vita.

La seconda regola è informarsi sulle sue idee, sui suoi gusti, sui suoi modi di fare, in modo da assecondarla SEMPRE. Anche in pericolo di vita.

A questo punto, una volta che si hanno bene in testa questi due principi fondamentali, le si può affidare il proprio figlio mettendo anche lui al corrente di quanto sopra. Io l' ho fatto da quando Francesco aveva 14 mesi.

Lei gli ha dedicato veramente tutta se stessa, ha dimostrato di avere molta pazienza e di saperci fare con lui.

Ogni tanto lui si dimenticava dei due principi fondamentali per andar d' accordo ( come biasimarlo? succede spesso anche a me ). Per questo capitava che io chiamassi mia madre per sapere come stava procedendo la giornata e lei mi rispondesse:

" Sono MOLTO arrabbiata con TUO figlio" ( il maiuscolo sottolinea il tono di voce che si alza )

"Ma perchè? Cos' è successo??? "

" GLI HO DATO UNA COSA E NON VUOLE DIRMI GRAZIE!!! Sono già due ore che insisto!"

"Ma mamma, non ha nemmeno due anni!"

"Non m' interessa! OK? Deve imparare da SUBITO!"

"Ok." ( Ah, sì ... regola numero uno: Non contraddirla MAI. Numero due: assecondarla SEMPRE )

Per non parlare del risvolto politico: ci manca poco che torni a casa e assista ad una lezione di mia madre che indottrina Francesco mostrando il busto di Berlinguer. Se fosse stata una femmina, poi, avrebbe già applicato un garofano rosso al cerchietto.

E le chicche quotidiane? Da non perdere. Tra le più recenti, una è quella della crema autoabbronzante della Johnson's ( che mia madre pensava fosse una crema idratante per bambini perchè secondo lei la Johnson's non può permettersi di spaziare in altri campi ) che ho raccontato in un commento qui.

Un' altra è questa: esiste un prodotto Amuchina che serve a disinfettare ciucci, biberon, ecc. che io non usavo da secoli perchè ormai mio figlio non usava più né ciuccio né biberon. Ultimamente, però, Francesco ha ricominciato a volere il latte nel biberon la sera. Un giorno della scorsa settimana, mia madre decide di disinfettare il biberon. E cosa fa? Non prende il prodotto giusto, no! Ma un altro della stessa marca che serve a disinfettare i fornelli piuttosto che il lavandino o altre superfici lavabili. Un detersivo, praticamente. Uno di quelli tipo sgrassanti o disincrostanti, per interderci. Anche disinfettante, però .. .eh?

Per la serie, chissà cosa si è bevuto Francesco nel latte ultimamente.

Ho preferito chiudere un occhio, piuttosto che combattere una guerra persa in partenza contro qualcuno che mi avrebbe sicuramente cercato di convincere che quello era il prodotto giusto.

Se però penso che mi impegno per far vivere Francesco in un luogo poco inquinato, coltivando verdure nell' orto senza alcun tipo di conservanti e concimate con la cacca del Twenty Millions , allora .... beh, allora m' incazzo. Ma che ci posso fare? Nulla. Se non cestinare quel prodotto e sperare che mia madre non passi al Chillit Bang.

Avete affidato anche voi i vostri bambini a queste sante, indispensabili, ma allo stesso tempo matte, imprevedibili nonne? Ma soprattutto, sono tutte come mia madre?????


p.s. che nessuno che conosce mia madre OSI raccontarle di questo post. A meno che non voglia vedermi morta.

giovedì 25 marzo 2010

"Indossa un paio di tacchi alti e ti sentirai un' altra", Manolo Blahnik


Sguazzo nella moda da quando sono stata sfornata dalle scuole superiori. Ho sempre venduto abiti costosi, lavorato in ambienti ricercati, puliti, raffinati, fatto la pipì in bagni dal design d' autore.
Ma sono una "ragazza" semplice. Quello è il mio lavoro, la mia vita privata è un' altra cosa. Intendiamoci: la mia casa è pulita e decorosa. E' solo un po' più vintage e vissuta di uno showroom patinato.
E i miei vestiti sono altrettanto decorosi. Sono solo molto meno costosi di quelli che vendo.
Mai al mondo tradirei la sacra triade zara - h&m - mercatini vintage ( accessori a parte, ovviamente ).
Si può vestire con gusto spendendo molto poco - l' ho appurato dopo anni e anni di gavetta in questo mondo. Ma ... bisogna avere gusto.
Il gusto non è la stessa cosa dei gusti. E' qualcosa che si ha dentro, che non si può imparare, studiare. I gusti sono discutibili, il gusto no.
Ho visto persone che, appena varcata la soglia dello showroom il primo giorno di lavoro, sono state classificate come "casi disperati" e, in automatico, sono passate sotto le grinfie dei colleghi più esperti. Che hanno poi abbandonato la troppo ardua impresa.
Trovo comunque ingiusto imporre ad una persona di avere gusto. Non è obbligatorio a questo mondo.
Ma è lecito - anzi, è un diritto sacrosanto - stare bene con il proprio corpo e con i propri vestiti, vintage o nuovi, costosi o economici.
Credo si possa tentare di portare una persona su un' altra strada ( giusta o sbagliata che sia ), ma se questa persona non si sente a proprio agio su quel cammino - mi dispiace - sarà sempre fuori posto. Anche se vestita come Christy Turlington su una copertina di Vogue America.
Leggo in questi giorni di post che parlano di strani e sfortunati incontri fatti ai temibili parchetti. Dove pullulano mamme stronze, menose, che arrivano alle giostrine taccate, truccate e leccate.
Beh, anche io vado ai parchetti con i tacchi. E' fuori luogo? Non credo. E' fuori luogo ostentarli. E' fuori luogo ostinarsi ad indossarli se non si sa camminarci sopra. Anche questo significa non avere gusto. Al parchetto come in qualsiasi altro luogo.
Io coi tacchi mi sento benissimo. Potrei fare un passo doppio di Steve Lachance coi tacchi 12. Usavo le stampelle con i tacchi. Figuriamoci se mi spaventa entrare nella buca della sabbia del parco o salire sullo scivolo.
In scarpe da tennis, invece, posso fare un viaggio in macchina fino in Francia, se mi va. D' estate con la minigonna per sentirmi una 16enne.
O con la salopette e la maglia a righe.
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Beh ... tutto questo a difesa delle mie adorate scarpe. Per dire che una che vive sui tacchi 12 non è per forza una menosa. E per dire che sono state loro - le mie scarpe - insieme ai miei fiori e alle parole scritte qui, a conquistare il Moschettiere. Un giorno racconterò questa bella storia d' amore.
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... come dice quel sant' uomo del Manolo : "Indossa un paio di tacchi alti e ti sentirai un' altra" ( Pronta a conquistare tutti. Anche un Moschettiere ... se ci riesci. ) .
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foto: scarpe indossate oggi, Salvatore Ferragamo ( Audrey docet ). Rovinatissime ...

lunedì 22 marzo 2010

io e i rimedi della nonna: di ansie da neomamma, pediatri, ormoni


Chi mi conosce sa quanto mi piaccia il vintage. Ecco, mi piace talmente tanto che per me, oltre che godermi mio figlio, fare giardinaggio o l' amore con il Moschettiere, il massimo è andar per mercatini e acquistare accessori, oggetti, passamanerie, gioielli appartenuti a chissachi. Mi piace ascoltare storie vecchie, sapere come si faceva un volta a far questo e quello.

Quando ero incinta immaginavo di stringere tra le mie braccia un fagotto avvolto in una vecchia coperta ricamata appartenuta a mia nonna, profumare i suoi cassetti con essenze e saponette profumate, vestirlo di bianco candido.

Mi vedevo come quelle mamme con i capelli a onde anni '40 e il viso sognante, che si affacciano sulla culla per vedere se il loro bambino dorme ancora o è sveglio e sta giocando con i piedini, talmente è bravo e non piange mai.

Quando tentavo di portare a spasso i 20 kg di grasso per gamba che mi ero elegantemente regalata per l' evento, mettevo un carillon in borsa e la appoggiavo alla pancia, pensando con quella musica al mio dolce sogno di bianco candido, pizzo sangallo, coperte vintage.

Poi è nato mio figlio.
Sono uscita dall' ospedale depressa. E di copertine ricamate, profumi, essenze non me ne poteva fregare di meno. Figuriamoci del vintage.
Oltretutto, la copertina ricamata si è riempita di rigurgito dopo forse 3 giorni, e la cavolo di vitamina nonsocosa macchiava qualsiasi cosa.
I giorni passavano. E io cominciai a scrivere lettere d' amore a mio figlio e ad appenderle alle travi del soffitto della sua camera. Gli comprai una scatola azzurra da esplorare. Lo massaggiai ogni giorno.
Francesco cresceva e con lui le mie ansie. Un po' erano le mie solite paranoie, accentuate da questa nuova responsabilità di cui ero stata rivestita. Un po' arrivavano da fuori, dalle altre mamme, dai parenti, dalla televisione, dalla simpatica pediatra che mi è stata raccomandata dall' impiegata dell' Asl e da quasi tutte le già mamme che conoscevo ( ho sempre saputo io di essere diversa ).
Quello che mi chiedevo ( e che ancora mi chiedo ) è:
  • perchè visitava in un grande studio con una mega finestra se la sala d' aspetto era un corridoietto senza nemmeno una fuga d' aria, se non la porta d' entrata ( che però era consigliabile non aprire per via degli odori provenienti dalle cucine degli altri appartamenti sul pianerotttolo ), stracolmo di bambini con 40 di febbre che lei faceva venire sovrapponendo gli appuntamenti;
  • perchè la prima visita ( il bambino aveva 10 giorni sì e no ) mi è stata fissata per le ore 13,00 di un giorno di metà luglio e la carrozzina affondava le ruote nell' asfalto rovente;
  • perchè sulle basi di quanto sopra e dell' antipatia dimostrata alla prima visita non ho capito subito che sarebbe nato in me il desiderio di mandarla a cagare;
  • perchè sulle basi del punto precedente non l' ho fatto subito dopo la prima visita.

Decisi quindi di affidarmi al pediatra che aveva fatto nascere Francesco. Non lo avevo ancora fatto perchè sinceramente mi vergognavo di farmi vedere ancora da quel grandissimo figo che durante il parto mi fissava la patata urlando "Dai, mamma!" mentre le spalle di mio figlio stavano tentando di farsi largo dentro di me ( "Dai mamma" cosa??? ).

Insomma, il gran figo del pediatra ha cominciato a far battute e a prendermi in giro dal primo giorno. Le cose potevano solo essere due: 1) aveva capito che ero depressa ( forse dal fatto che ero indifferente ai miei peli incolti sui polpacci e perchè mi vestivo ancora con i vestiti che usavo prima di partorire, esattamente 25 kg di differenza ) e voleva farmi ridere 2) gli facevo pena e mi stava veramente prendendo per il culo.

In realtà di motivi per farmi prendere in giro io ne ho forniti dal primo giorno. Le mie domande non erano le solite su allattamento, svezzamento o addormentamento. No. Non facevo quasi nemmeno delle domande. Raccontavo più che altro di come ero riuscita a guarire mio figlio da sola grazie ai rimedi della nonna oppure di come avevo sviluppato delle mie teorie sulla febbre. Tipo:

Io: Dottore, il bambino è caduto dal seggiolone ( 8 mesi ). Gli ho spalmato il burro sulla botta come ha suggerito mia mamma e, non solo non è uscito il livido, ma non si è nemmeno gonfiata.

Quel gran figo del dottore: Aaaahhhh, ma signora! sarà stato il freddo del burro! Non ci sono altre spiegazioni!

IIo: Dottore, ma il burro non era freddo gelato e l' ho anche sciolto un pochino con il calore per spalmarlo meglio.

Quel gran figo del dottore: senza parole.


Io: Dottore, Francesco stava mangiando un biscotto Plasmon, gli è andato di traverso, mia madre si è spaventata e le ha ficcato un dito in bocca per toglierlo. La sera, per lo spavento, gli è venuta al febbre.

Quel gran figo del dottore: Ma nooooooooooooooooooo signora! Cosa dice? La febbre non viene dallo spavento! Come l' ha curata?

Io: Con niente. Coccolandolo.

Quel gran figo del dottore: senza parole.

Mesi dopo mesi, anni dopo anni, le ansie ci sono ancora. A volte incrementate dall' esterno, a volte racchiuse nel "pacchetto mamma" che ti viene consegnato A GRATIS quando sforni la creatura. Per fortuna il pacchetto non comprende solo ansia, timore di non farcela, inadeguatezza. E l' amore che ti senti esplodere dentro ricompensa tutto.

Il problema è che dentro esplodono anche gli ormoni. E che a posteriori avresti tanto voluto averli ascoltati togliendoti la soddisfazione di mandare a cagare la pediatra incompetente.

E mi fermo qua.



E voi come avete affrontato le prime paure dell' essere mamme? Siete state fortunate e avete avuto da subito feeling con la/il pediatra?


Mamma che ridere!

giovedì 18 marzo 2010

la volta in cui dimenticai la tetta

Il teatro mi piace. E ridere pure.
Veramente, in questo momento, dopo ore di febbre ininterrotta di Francesco, da ridere proprio non mi viene. E quello che sto per scrivere mi fa sentire anche un po' in colpa.
Sì, perchè, appunto perchè il teatro e il ridere non possono che essere un piacevole binomio e perchè mi fido delle mamme blogger che "frequento" ... ho deciso allegramente di partecipare all' iniziativa "Mamma che ridere!" e di raccontare qualcosa di divertente sia sul sito della Huggies, sia qui, a "casa mia".
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La volta in cui dimenticai la tetta
Il giorno del battesimo di Francesco è stato anche il giorno in cui io e suo padre, reduci da un matrimonio su una spiaggia sconosciuta delle Seychelles costato 100 Dollari, abbiamo deciso di standardizzarci ( ma perchè poi? ) e di giurare il nostro eterno amore in un luogo chiuso, con un altare e tante file di panchine.
Insomma, da una cosa veloce e informale, ci siamo trovati coinvolti in un vortice di decisioni da prendere, liste da preparare, persone da invitare, bomboniere da scegliere. Il giorno del battesimo/matrimonio sono arrivata stremata; complice il fatto che, avendo Francesco 5 mesi, le commissioni venivano svolte solo ed esclusivamente nei momenti di pausa tra una poppata e l' altra.
Per questo mi sono sposata con un vestito da 49, 90 Euro.Sì, è vero. Ma avevo sempre le tette piene di latte ed era l' unico che mi stesse - e che mi piacesse ( oltre al vestito vintage verde da indossare per il ricevimento, che costava come un vero abito da sposa e che ho indossato solo per un attimo perchè poi Francesco ha cominciato a risucchiare me e il seno ).
E poi "molta resa poca spesa", come dice sempre la Corinna, è una delle soddisfazioni più grandi.
Ma veniamo al sodo.
Quel benedetto giorno non ho avuto un attimo libero. E Francesco piangeva, piangeva.
Quando sono arrivata in chiesa Francesco piangeva.
Quando è cominciata la cerimonia Francesco piangeva.
Quando ci siamo scambiati le promesse Francesco piangeva. Dalle foto si vede il mio viso talmente preoccupato che addirittura avevo l' occhio strabuzzante e il sopracciglio inarcato contemporaneamente, che credo sia un' espressione che non venga bene nemmeno al mimo più bravo del mondo. Questo perchè ogni volta che sentivo avvicinarsi il pianto di Francesco verso l' altare, poi me lo vedevo arrivare in braccio a qualcuno diverso dalla volta precedente ( 1 minuto prima ). Una volta vestito, una svestito. Una volta con la pancia in giù, una volta in su.
Tutte - e sottolineo la E finale - mi facevano segno mentre io tentavo di giurare amore eterno ( sarà che qualcosa è andato storto proprio in quel punto??? ), con l' alfabeto muto piuttosto che con contorsioni, per chiedermi se io credevo che il bambino avesse freddo. O caldo. Se secondo me dovevano togliergli il maglioncino. Se era il caso di farlo bere ma-poi-sarebbe-stato-battezzato-e-a-pancia-in-su-e-magari-avrebbe-potuto-rigurgitare ( faceva segno la zia Pina ).
Insomma, 'sto porello d' un bambino si è fatto battezzare. Piangendo.
Ha aspettato che facessimo due foto. Piangendo. E' arrivato al ricevimento. E lì è crollato. Stremato. E consapevole che dopo ore e ore di strilli, non c' era verso di prendersi la tetta.
Sì, perchè il motivo di tutti quei pianti era proprio quello: mi ero dimenticata completamente di dargli la tetta. Ho realizzato solo dopo che il motivo per cui il bustino su misura che era costato 100 volte più dell' abito mi stava così bene non era perchè era costato appunto come un week-end a New York, ma perchè le mie tette erano piene, ma talmente piene che mi hanno persino convinto ad inscenare uno spogliarello degno di nota, con tanto di lancio della giarrettiera.
Insomma, io ero lì con le mie tettone a saltare, ballare, spogliarmi davanti ai parenti di mio marito e mio figlio si era addormentato stravolto e affamato perchè io avevo dimenticato la tetta. Nessuna delle suggeritrici aveva pensato a questo. Era talmente scontato che gli avessi dato da mangiare.
Ok, avevo già dimenticato più volte i pannolini, il cambio, il ciuccio, l' acqua, i biscotti, i giochi, il sonaglino, la bavaglia, il cappellino. Ma la tetta proprio no.
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L' ho pagata, eh?
Sì, perchè quando Francesco si è svegliato - e a me è rinsanita la testa - mi ha risucchiato anche l' anima. E le tette si sono svuotate.
Così, salutando e ringraziando gli ospiti a fine serata, il mio fantastico bustino ballava un po' e faceva pure difetto. In un attimo è crollato tutto ciò che avevo costruito in quei meravigliosi 5 minuti di popolarità ottenuti con lo spogliarello.
E voi? Avete mai dimenticato la tetta? Dai, ditemi che non sono l' unica ... !

p.s. so che questo non è uno dei tempi lanciati da huggies ... ma dicevano di sentirsi libere di proporne altri ... e io l' ho fatto ...

lunedì 15 marzo 2010

l' estate devi sognarla, se no non arriva.

Parola di Francesco.
La sera lascio che si addormenti da solo sognando l' estate. Ogni tanto riapre un occhio e controlla se sono ancora lì a guardarlo. Io sono ancora lì, ma lui non mi vede.
A volte reclama un bacio e una carezza. A volte mi comunica urlando che ha già sognato il primo pezzo d' estate ( che per lui significa tirare fuori la sua piccola moto dal garage e accenderla ) e che si prepara per sognare il secondo.


La mattina se c' è il sole è felice perchè sa che potremo fare i giardinieri. Insieme. Questo periodo dell' anno è fatto di semi, germogli, buche nella terra. Abbiamo anche un rastrello tutto nuovo per raccogliere le foglie secche sbucate sotto l' ultima neve e portarle in fondo in fondo a bruciare.


Non importa, Francesco, se dopo ore di lavoro e tre cariole piene, il Moschettiere arriva con la sua macchinaraccoglifoglie e fa sparire le ultime in un battibaleno. Sì, anche io l' ho odiato per un attimo. Ma solo per un attimo.
Nel tardo pomeriggio rientriamo in casa e ci facciamo scaldare dalla stufa mentre compiliamo con grande precisione il nostro diario di giardinaggio, in cui appuntiamo i nomi dei fiori che abbiamo seminato e la data.
Questo week-end è stata la volta di acidanthera ( che manco Wikipedia sa cosa sia ), gypsophila ( o velo da sposa ), muscari , anemone , clarkia , dalhia , fresia. ( In effetti lì da Wikipedia non si sa un cavolo in fatto di fiori ).

La signora del vivaio, così crudele la scorsa estate nel dirmi di non nutrire speranze nella crescita delle zinnie che avevo piantato, quest' anno è stata più clemente e mi ha rassicurato sulle peonie . 100 a uno che non nascono. Spero non mi abbia gufato a distanza anche con la rosa gialla rampicante, perchè di quella sono gelosissima.

Ci sono persone che somigliano all' estate. Anche loro devi sognarle, se no non arrivano. Profumano di fiori, di campi di grano, di the freddo bevuto col pancione su un balcone di città. A volte noi chiudiamo forte forte gli occhi strizzandoli e immaginiamo di averli accanto questi amici ,una volta vicini vicini, che somigliano all' estate. E poi, come una magia, una domenica di quasi primavera si materializzano. Dio, quanto sono felice di avervi rivisto.

p.s. Una piccola idea per il vostro giardino: quando si semina, ci si dimentica facilmente dove lo si è fatto. Per questo io prendo delle piastrelle ( nel mio caso sono vecchissime, trovate sempre nella casa di campagna e, ovviamente, floreali ), scrivo sulla superficie - con un pennarello indelebile - il nome dei fiori o delle piante che ho seminato e le interro leggermente accanto al punto di semina.

I fiori non possono essere vintage ( tranne alcuni, ma questo è un altro capitolo ), per questo metto nella mia adorata terra un po' di quest' altra mia passione.

mercoledì 10 marzo 2010

eravamo noi quattro. e la prossima volta spero saremo in cinque

Le mamme del 2000 scrivono blog o comunicano il loro stato d' animo su facebook ( io mi rifiuto ), twitter, skype. Pubblicano foto su flikr!, libri su blurb! E magari, nel frattempo, inventano una ricetta o creano scialli di lana.

Si ribellano, non ci stanno a certe cose, urlano, parlano con psicologi, mediatori familiari, avvocati. Si separano, a volte.

In un mondo in cui se proprio proprio una non ha speranze di broccolare sul treno, per strada, in posta, può comunque trovare il "fidanzato" su facebook, si crede che separarsi sia la via più semplice, la scorciatoia per il paese di "orasonoliberaemifaccioicazzimiei". Si crede che un ex-marito mantenga l' ex-moglie e il bambino a suon di bigliettoni che piovono dal cielo. Si crede che la gestione familiare sia la stessa. Si crede semplice cercare di dare al proprio figlio lo stesso amore senza far trasparire la preoccupazione. Si crede facile non dormire mai di notte per fare i conti coi 10 euro sul libbricino e trovarsi sola con un bambino bollente di febbre. Sola.

Quando io e il papà di Francesco ci stavamo lasciando, pensavo che lui non avrebbe MAI potuto avere un' altra. Oh, no. No, no. La mia testa ripeteva spiandolo dalla cucina mentre guardava pacifico la partita sul divano: "Siamo cresciuti insieme, hai amato solo me. Solo, solamente me per tutti questi anni. Tu che comparivi all' improvviso ovunque, mi seguivi, fermavi il traffico per inseguirmi in bicicletta, venivi a spiarmi a scuola. Tu che hai fatto tutto questo per me, non puoi mettere le tue mani su un' altra donna. Sono troppo sicura di essere io l' amore della tua vita e tale rimarrò per sempre."

Poi ho scoperto. Io e Lui vivevamo già in case diverse. E' stato come se filobus no. 92 mi fosse arrivato in fronte. Ho tirato fuori tutta l' irrazionalità di cui ero capace. L' impotenza mi faceva imbestialire. Come il fatto che nessuno volesse darmi più informazioni su questa persona: dove abita, cosa fa, com' è. Lui che regalo le ha fatto per il compleanno??? Lui che era mio. Paradossalmente non mi era nemmeno venuto in mente che questa persona virtuale avrebbe potuto vivere mio figlio. Parlarci, ascoltarlo, cucinare per lui, giocare con lui, toccarlo, lavarlo, dormirci insieme. Ingenuamente non pensavo a mio figlio. Mio figlio che era veramente MIO.

Poi l' illuminazione. Mio figlio trascorre i week-end a casa di un' altra donna? Immediate le insicurezze ( e per chiamarle insicurezze, credetemi, c' è voluto del lavoro ... ): Si troverà bene con lei? Chiederà di me? E se vorrà stare con lei da grande? Se si confiderà con lei e non con me? Se vorrà più bene a lei rispetto a me?

"Tutte paure infantili" disse lo psicologo. Ma vaffandulo te e tutte le tue paure infantili.

"Qualcuno vuole fermare il mondo per favore? Non che voglia scendere, eh? E' che voglio invertire la direzione di marcia, cazzo." Mi sono chiesta tra me e me seduta di fronte a lui, con il papà di Francesco seduto accanto.

Ho ringraziato educatamente, ho percorso il corridoio con la faccia paonazza, sono salita in macchina e sono scoppiata a piangere. E' pazzesco come ricordi certe cose come se fossero successe ieri.

Non poteva essere. Nemmeno lui mi capiva. Nemmeno. Lo. Psicologo. Paure infantili??? La figura della madre è irremovibile per un bambino??? E chi me lo assicura??? Tu??? Con quella faccia da pirla??? Cosa faccio tra qualche anno, vengo da te a lamentarmi se mio figlio non mi vorrà più??? Ho trascorso mesi in cui passavo le ore a chiedermi perchè nessuno capiva quanto stavo male, quanto reali e tangibili fossero le mie paure. Trovavo il mondo più ingiusto del solito ( il che è tutto dire nel mio caso ) e lo guardavo dall' alto del mio balcone mentre fumavo e fumavo, dopo aver messo a letto Francesco.

Poi ho trovato la pace ( ?!? ). E un moschettiere.

Recentemente ho anche parlato al telefono con la compagna del papà di Francesco. Ci siamo promesse di incontrarci. Sappiamo che un rapporto sereno tra di noi può solo giovare a mio figlio. E' solo che prima avevo una montagna da scalare per arrivare a vedere la valle quieta e ammettere l' ovvio. Ora dei regali che si fanno per il compleanno non potrebbe fregarmene di meno. Per il mio, di compleanno - a dicembre, Francesco mi ha portato un palloncino rosa con un sacchetto di caramelle e degli auguri scritti con il pennarello da Lei. Fa strano, ma questa è la mia vita.

Qualche settimana fa il papà di Francesco e il Moschettiere si sono conosciuti di persona.

E domenica sera, quando Francesco è tornato da me, me lo sono preso in braccio, tra suo padre e il Moschettiere. Vicino alla rotonda dell' autostrada. Abbiamo aspettato un attimo prima di salire sulle rispettive macchine. Ci è venuto naturale.

Eravamo noi quattro. E la prossima volta spero saremo in cinque. Francesco indicava un traliccio disperso in un campo e diceva che era una casa. Una casa che prima non c' era. Una casa fantastica nel bosco.

E noi tre - io, il papà di Francesco e il Moschettiere - eravamo come nella scena finale di un film. Immobili, vicini, incantati ad ascoltare la storia immaginaria di questo bambino che in un attimo, in un solo attimo, è riuscito a dirci che è così che ci vuole.

Uniti nell' amore che gli vogliamo e sereni nel crescerlo.

domenica 7 marzo 2010

spiriti di orecchini e folletti della neve

In attesa della grande bufera prevista per oggi, il sabato e' trascorso cercando di esorcizzare le mie paure leopardiane.
Ho aperto una vecchia scatola nascosta in un angolo segreto della casa di campagna, trovando un altro tesoro appartenente alla signora che l' ha abitata nel passato. Amava i fiori, anche lei.
Per questo aveva orecchini di viole e cornici antiche di margherite e rose.


Ho spalancato l' armadio bianco sentendo il profumo dei fiori disegnati sulle camicette e sugli abiti estivi. E mi sono sdraiata sul letto lasciando che questo profumo si mischiasse a quello dell' aria che entrava dalla finestra.
Mi e' venuta voglia di scrivere una lettera e parlare del primo sole.
Fuori le lenzuola erano stese sui fili, per la prima volta dopo l' inverno.

Ho ammirato estasiata i primi boccioli di narciso nati nella "serra" di casa.
Chissa' se la signora di notte viene a controllare se i nostri fiori crescono bene, come faceva con i suoi.
Sono uscita in giardino, a guardare i germogli scoperti da Francesco nei giorni scorsi, sull' albero delle sue prugne ...


... mentre Twenty Millions "pascolava" felice. E il mio libro mi aspettava sul muretto accanto ai bulbi di giacinti appena piantati.

Ah, dimenticavo. Nel frattempo ancora un po' di India entrava nella nostra vita.
Ho offerto campanelli agli spiriti protettori sulla porta di casa. Perche' io credo fermamente nella loro presenza in ogni cosa e a protezione di ogni cosa. Anche della tempesta in arrivo.

Quello a cui non avevo pensato e' che per sfidarla avrei dovuto vederla arrivare, questa bufera.
Ritirare a malincuore i vasi con i semi gia' piantati e sperare che quelli nel prato, sotto la neve, accettassero di andare in letargo ancora per un po', nella loro fredda tana.
Come quelle cose che sai che stanno per arrivare, ma proprio non ce la fai a pensare a come affrontarle prima che ti si presentino davanti.
Come quando ti trascini in posta pur sapendo che e' il giorno di paga delle pensioni. Ma devi proprio andarci perche' e' l' ultimo giorno valido per pagare le bollette. E sei costretta a sentire la segatura sotto le scarpe perche' fuori piove e l' impiegato della posta e' previdente e non vuole che la gente scivoli.
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Oggi gli spiriti sono arrabbiati. Si rincorrrono in mulinelli di neve.
Quello a cui non avevo pensato e' che non ho nessuna voglia oggi di rincorrere i folletti monelli nella neve. Il freddo che si percepisce sulla pelle illusa dai primi sprazzi di primavera e' troppo pungente. Era gia' stato dimenticato e ci ha sorpreso.
Io stanotte sono ritornata un po' in letargo, mi sono impigrita come i miei semi. Accucciata al calduccio con le ciabattone di pelo che il moschettiere ha trovato in Sudafrica ( boh, io non le avevo viste ). E non mi basta, mi avvicino sempre piu' alla stufa.
Quello a cui non avevo pensato è che la primavera potesse tirarci questo scherzetto.
Dai primavera, arriva. Arriva.

martedì 2 marzo 2010

confessione di un tradimento

L' unica volta in cui ho tradito nella mia vita, l' ho confessato il mattino seguente, dopo una notte insonne, piena di incubi ad occhi aperti. Nella mia ingenuità ho pensato che dicendo la verità avrei rispettato il dolore della persona che avevo sicuramente ferito. Forse non era così: il rispetto era già stato mancato e io ne ero consapevole. Ma, credendo fermamente nella verità come colonna portante della mia vita, ho agito cercando di diventare sempre più trasparente, ancora incredula di fronte ad un gesto che io non avrei mai pensato di compiere.
Quando ho scoperto di essere stata tradita, tutto intorno è diventato nero. Ho camminato per inerzia, non vedendo nemmeno dove stavo andando. Ho sentito il bisogno di avere lì mio padre, sdraiato con me su un prato a tenermi la mano. E ad accarezzarmi i capelli.
Dopo questo momento di sbandamento, la rabbia mi ha assalito. Il dolore mi ha travolto. Come un male fisico, che potevo quasi toccare.
Non sono mai riuscita a curarlo, questo male. Perchè nessuno l' ha capito fino in fondo, di questo ne sono sicura.
Visto il mio bisogno fisiologico ( o patologico ) di scrivere, anche questo episodio della mia vita ha trovato posto nei bigliettini nascosti tra la seta della mia scatola segreta. E' percepibile nelle lettere che ho scritto a mio figlio in quel periodo. Anzi, quella stessa sera ho scritto proprio a lui, riversando nelle mie parole scritte tremando la speranza che lui diventasse un uomo migliore.
Ma non ho mai avuto il coraggio di dichiararlo a voce alta, di condividerlo, se non con una sola persona che, come me, stava affrontando un periodo difficile.
Questo blog è nato come uno sfogo. Di pensieri sparsi. Come sono io. ( Sono una persona sparsa - cosa vuol dire??? )
E oggi ho voglia di parlare di questo. Ho voglia e basta. E anche bisogno forse.
Ormai mi conosco e ho capito che a volte mi serve proprio questo per liberare il mio cervello che, come dice il moschettiere, non si ferma mai.
Scrivere. Scrivere è a volte un modo per far sapere qualcosa a qualcuno. Per servire le parole su un vassoio d' argento, anzichè tirarle come si lanciano i pomodori maturi dietro a qualcuno da cacciare.
Scrivere è dichiarare che si ha bisogno di aiuto per rinascere. E' dire a tutto il mondo che non rimpiango le mie scelte, ma che sono state dolorose, talmente dolorose che non c' è medicina che possa curarle e che ancora adesso mi pungono dentro, mi offuscano la vista, mi tolgono la speranza.
Vorrei avere la forza di Clara ( La casa degli spiriti, Isabel Allende ), che ha deciso di non rivolgere più la parola a suo marito e ha mantenuto questa promessa fino al giorno in cui è morta.
Vorrei essere una donna così. Apparentemente eterea, vaga, persa nel suo mondo. Ma forte come un uragano.
Vorrei poter tornare in India e chiedere alla gente di darmi forza. La forza che arriva dal guardare gli Dei panciuti, sorridenti, colorati mentre si sta seduti su un grigio marciapiede bagnato dall' acqua della fogna.
Ma cos' è realmente la forza? E chi lo sa. Chi lo sa se è avere il coraggio di dire la verità o quello di mentire fino in fondo. Chi lo sa se è il coraggio di portare una maschera con tenacia e perseveranza, senza mai cedere o se è quello di mostrare il proprio volto stanco, sfatto, senza trucco. Ma pulito.
E chi lo sa.