lunedì 28 giugno 2010

ma tu lo senti il profumo del grano?

Io gli sono aggrappata come l' edera al muro.
Lui guida la sua moto sulle colline. Su e giù. Tra i boschi.
E si ferma solo perchè gli ho chiesto di scendere per poter vedere se quel fucsia inaspettato poteva essere quello che stavo pensando. E infatti. Pisello Odoroso selvatico. "Che culo" penso io. Solo io, certo.
Dopo una breve analisi, ripartiamo e io mi ri-attanaglio a lui.

Mi osservo nello specchietto. Per quel poco che si può intravedere sotto il casco da formica atomica. Ho le guance rosse rosse. Ci credo, sono stata sul bordo della piscina all' ora di pranzo. A parlare di uomini.
Per fortuna poi abbiamo cantato con la chitarra. E sono impazzita.
Come per tutte le cose, io avrei voluto andare avanti per ore ed ore. Ma poi io capisco anche che la gente si stanchi. Cioè. Veramente non lo capisco. Ma mi sforzo.
Mamma, quanto vorrei che Francesco fosse qui.
Salendo sulla collina il Moschettiere rallenta e mi chiede: "Ma tu lo senti il profumo del grano?"
E due curve dopo: "E quello della lavanda?".
Ecco, lui è quello dei profumi. Quelli della natura, perchè gli altri sono vietati ( che da quando lo conosco ho dovuto ridurre drasticamente le dosi del mio profumo vintage. Peccato, mi piaceva puzzare come Audrey Hepburn ).
Quando ci stavamo conoscendo, mi ricordo che durante una passeggiata nei boschi con degli amici, lui si era fermato e aveva chiesto: "lo sentite il profumo del verde che sta nascendo?".
Era primavera.
Io mi ero fermata. E devo averlo guardato come un marziano. Ma per tanti minuti.
Cioè, io ero abituata all' uomo canonico, sapete ... quello poco sensibile, che ha il pensiero fisso, che anzichè aver voglia di andar per boschi staziona per ore davanti alla TV guardando una discussione feroce su una partita di calcio giocata la settimana prima. Quello che in un bosco - metti proprio che quella mattina non c'era nessuna discussione feroce su nessuna partita di nessuna squadra - salendo su una stradina, avrebbe potuto dire ad una amico, che ne so: "Oh. Guarda che bel culo che ha la moglie di X! Che figata queste gite in salita ... ti fanno scoprire delle belle cose ... Eh eh".
Strada facendo, ho scoperto che anche lui, il Moschettiere, anche se in modo sicuramente più discreto, guarda il culo delle altre donne. Ma mi sembra anche normale, eccheccavolo. E' un uomo anche lui, povero Moschettiere.
Perchè tra l' altro, in piscina, domenica pomeriggio si parlava di come gli uomini si dividano in due categorie: quelli a cui piacciono le tette e quelli a cui piace il sedere delle donne ( oh, se lo sono detti da soli ).
Chissà perchè non c' è mai stato un uomo appartenente alla prima categoria che mi abbia filato. Ma a me va bene così.
E' certamente più raro incontrare qualcuno che si accorga che il verde abbia un profumo. Soprattutto quello che sta nascendo.


foto: la "nostra" collina alla prima e alla terza curva. e sopra, ovviamente, il pisello odoroso selvatico. gran bel fiore.

giovedì 24 giugno 2010

scelte ( e se questo non è outing ... )

Premessa: scrivo un post in risposta ai commenti di quello precedente ( che, avete ragione, mi è costato tanto ) non perchè abbia la presunzione di dover insegnare qualcosa, ma proprio perchè ritengo doveroso, ora che a distanza di due anni esatti dalla mia separazione ( 24 giugno 2008 ) ho fatto un vero e proprio outing, parlare a tutte quelle madri che hanno qualcosa che sta rosicchiando il loro cuore e che forse sono perse nella nebbia dei dubbi e delle paure, come sono stata io per mesi.
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In un vecchio post ormai datato 01 giugno 2008 scrivevo questo:
Il Dalai Lama ha detto: "Le decisioni sono un modo per definire se stessi. Sono il modo per dare vita e significato ai sogni. Sono il modo per farci diventare ciò che vogliamo".
Ecco il punto. Credo sia più che ovvio che chiunque nella vita desideri azzeccare al primo colpo la scelta dell' uomo/della donna della propria vita. Questo è umano e lo ritengo quindi indiscutibile. Nel senso che ci sono persone che non intendono "fermarsi", assestarsi e decidono liberamente di non impegnarsi in una relazione duratura. Ma chi sceglie di farlo, credo proprio desìderi che sia per tutta la vita.
Così desideravo io, mentre mi sposavo su una spiaggia delle Seychelles con un abito vintage di mia madre. E altrettando mentre rinnovavo la promessa il giorno del battesimo di mio figlio di cinque mesi. Non scherzavo. Non era un gioco.
Ad un anno dal "secondo matrimonio" il vortice. Il vortice del non sapere cosa stesse succedendo. Quella era la vita che io avevo tanto desiderato e per cui avevo lottato. Il vortice è durato mesi. In cui non avevo il coraggio di parlare con nessuno. Cazzo, dovevo capire IO. E quando provavo ad accennare la cosa a Lui dicendo: "Sai, sono notti che non dormo", non avevo alcun riscontro. Non aveva capito. E non lo biasimo per questo.
Una volta compreso cosa mi stesse succedendo, ne ho parlato apertamente. Ho parlato di come le cose cambiano, di come ci si aspetta che una persona cresca - e cresca in un certo modo - ma non lo fa. Di come l' arrivo di un figlio spezza degli equilibri e apre mille porte che vorresti tenere chiuse, per vivere la tua vita, non quella di una famiglia.
Ma ho sbagliato. Non mi sono fatta capire, ascoltare. Un' altra volta. E forse non volevo nemmeno essere capita. O meglio, lo volevo solo per mio figlio. Per lui desideravo piangendo contro la colonna del salotto che le cose fossero diverse. Desideravo svegliarmi e vivere la vita che avevo immaginato. Solo noi, senza nessun altro. Solo noi, come eravamo quando andavamo in Amazzonia con lo zaino in spalla. Solo con più testa.
Ecco, la testa.
E invece, più i giorni, le settimane, i mesi passavano, più la cosa degenerava e gli errori aumentavano.
E poi tutto è andato di corsa. A volte mi sembrava di essere su un treno che FORSE mi avrebbe portato alla felicità a cui tanto ingenuamente ambivo, a volte ero felice di correre, per non dover riconoscere che quel grosso punto interrogativo giallo fosforescente era ancora sulla mia testa.
Come quando rimani incinta e il ginecologo ti dice: "Signora, ogni gravidanza è a sé", altrettanto mi disse l' avvocato: "Signora, ogni caso è un caso a sé".
"Ah. "
" Ma questo non è un caso, è la mia vita. E' la vita di mio figlio. E non solo la nostra."
E così il mio grosso punto interrogativo raddoppiò. E divenne grande, grande. Enorme. Mi voleva mangiare. Il "non sapere cosa sarebbe stato di me" mi voleva mangiare.
Ma andai avanti. Avanti, avanti. E per un po' mi mangiò. Mi assaggiò. Poi smise.
E ogni tanto mi assaggia ancora, perchè nella mia vita ci sono ancora tanti punti interrogativi. Come nella vita di tutti, credo.
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Certo, avremmo potuto scegliere diversamente ( perchè anche Lui ha scelto ). Ed andare avanti rimettendo la questione nell' angolino delle cose latenti, che si sa che ci sono e che se ne stanno lì zitte zitte. Avremmo potuto far finta di niente per giorni, mesi, magari anni.
Invece non l' abbiamo fatto. Lui non so ancora perchè. Io non l' ho fatto perchè sapevo che in gioco c' era TUTTA la mia vita. Non un mese, un anno. C ' era la mia vita, insieme a quella di mio figlio. Non dovevo farmi passare una crisi. No. Era la mia vita in gioco. Perchè quella non era la vita che volevo. E che avevo desiderato.
Ci sono persone che riescono a tenere il piede in due scarpe. Ce ne sono altre che riescono ad accettare di vivere una vita diversa da quella che avevano immaginato. Ad andare avanti giorno dopo giorno sperando che le cose possano cambiare, senza far nulla perchè questo avvenga. Si affidano al caso, a Dio, non lo so. Sono forti. Perchè per non lottare per se stessi ci vuole forza.
Io mi sono affidata a me stessa. Una volta tirata la riga finale, mi è sembrata la cosa più sensata da fare. O forse la più codarda. No, codarda no.
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Due anni fa esatti io e Lui eravamo in tribunale a separarci. Quando siamo usciti, siamo andati insieme a bere qualcosa e a comprare dei vestiti per Francesco. Tutto sembrava tranquillo.
Invece era solo un limbo. Era il sabato del villaggio.
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Oggi siamo d' accordo su una cosa: che Francesco è un bambino sereno ( e questo è stato appurato anche da specialisti ). Certo, non possiamo escludere che abbia dei problemi in futuro dovuti alla separazione. Anzi, quasi sicuramente li avrà. Ma ci stiamo preparando, stiamo "studiando" per fare in modo che questo non avvenga. O per poter affrontare nel modo migliore questa cosa, se dovesse succedere.
Io combatto ogni giorno. Per avere la forza di salutare mio figlio due o tre venerdì sera al mese. Per non pensare che non sta dormendo nella stanza vicina alla mia. Per cercare di infondergli più forza rispetto agli altri bambini. Per farlo sentire amato.
Ho trovato l' uomo della mia vita. Ho dato significato ai miei sogni. Sto diventando la donna che volevo essere.
E questo, insieme all' aiuto di alcune persone, mi sta aiutando a chiudere questo cavolo di cerchio che contiene il mio IO.

martedì 22 giugno 2010

la separazione nella nostra vita di tutti i giorni. e nei pensieri degli altri.

Quando ci si separa si ha spesso la mente offuscata dalla rabbia e dal rancore. L' unica cosa che fa rinsavire è il pensiero dei propri figli, se questi ci sono. A volte è proprio questo pensiero che non fa trovare il cancello d' uscita dal labirinto dei pensieri autodistruttivi.

I sensi di colpa, la preoccupazione per quello che sarà il domani e la tristezza infinita per il fallimento non permettono di dormire, di ragionare, di lavorare.

Quando passa l' uragano dei conflitti che, purtroppo, troppo spesso si svolgono tramite avvocati, prendono il via i cambiamenti pratici nel quotidiano. Ritrovarsi soli in una casa che fino a poco tempo prima aveva visto solo momenti piacevoli - ma anche no - e la nascita di un figlio ( o più ) è devastante. Sapere che Lui è via. E non importa se fino a quel momento era ciò che avevi desiderato. Crescere un figlio in un momento in cui avresti solo voglia di rannicchiarti in un angolino e piangere. Vedere che tuo figlio ha 40 di febbre e renderti conto che non puoi più chiedere conforto e appoggio a Lui. E poi lo fai lo stesso. Perchè da sola non reggi, la sera tardi, quando la febbre non vuole scendere. Battere i pugni contro il muro perchè sai che nella vita di tuo figlio ci sarà un' altra donna ( che non sarà sua moglie ). Aprire le bollette e voler piangere in ascensore urlando. Desiderare di buttare dal balcone tutti i debiti: avvocato, mutuo, luce, gas, macchina. Non avere i soldi per fare la spesa. Non accendere il riscaldamento quando tuo figlio dorme da suo padre. E, colmo dei colmi, usare per scaldarti la coperta di cashmere che ti hanno regalato per il matrimonio.

Tante volte mi sono chiesta come ha affrontato Lui i primi momenti. Non si poteva parlare in quel periodo, non era nemmeno lontanamente pensabile un possibile dialogo. In quei giorni pensavo spesso che fino a poco tempo prima con quell' uomo avevo dormito per anni e anni. Avrei voluto - nella mia mente utopica - sedermi con lui a parlare della nostra sofferenza. Forse per soffrire di più. Forse di meno. Anche ora lo vorrei. E gliel' ho detto.

In una società in cui le separazioni sono all' ordine del giorno e in cui ovunque vada incontri persone separate - o divorziate - non è così scontato nella vita di tutti i giorni essere capiti. Sabato sera, per esempio, io e il Moschettiere eravamo alla serata di gala dello Squadrone Italiano dei "Mousquetaires d' Armagnac", appunto. E al tavolo eravamo: tre coppie formate da persone entrambe separate/divorziate - anche pluri, un amico pluriseparato, una coppia che resiste insieme da molti anni, per fortuna, ma con un figlio separato.

Questo è solo un esempio. Quotidianamente incontro persone separate o divorziate, soprattutto nel mio ambiente di lavoro. A volte è quasi scontato. Eppure mi sento spesso fuori luogo o giudicata. O meglio, non è una mia sensazione: vengo spesso giudicata. E la cosa che mi fa più male è che si pensa che una donna separata sia "protetta" dal fatto di avere uno o più figli e si faccia forte di questo, pretendendo di essere mantenuta. Non è sempre così. Io ricevo un mantenimento per mio figlio. Ma tutti sanno quanto costi ora mantenere un bambino, dalle piccole cose all' asilo. Dai giochi che chiede ( e che non gli darei in abbondanza nemmeno se fossi ricca, per principio ) ai vestiti.

Il fatto che io abbia un compagno, poi, non fa che allargare a dismisura il pensiero dei giudicanti. Come se la maggiore aspirazione di una donna fosse quella di essere mantenuta. E non di farcela da sola.

Mi ferisce la concezione ancora così retrò, semplicistica e spesso scontata della donna vista come una che ha acquisito talmente tanta libertà da potersi separare ( cosa che fino a pochi decenni fa era pensabile solo nelle alte sfere ), ma che non può però riuscire a gestire la sua vita da sola. Senza avere per forza un uomo che la mantenga. Non che le voglia bene, che le faccia ritrovare la serenità, che la aiuti nel quotidiano, che accetti suo figlio. No. Che la mantenga.

venerdì 18 giugno 2010

vorrei essere un fottuto millepiedi

vorrei essere un millepiedi. un po' perchè delle mie due gambe, una al momento è ancora un po' messa male. ora s' è scoperto pure che ho la cartilagine del ginocchio consumata. ma non succede agli ottantenni? va bene che a 33 anni bisognerebbe avere anche i riflessi più pronti per evitare di fracassarsi una gamba intera tra macchina e cancello, però ora basta.
ho accennato al volo la cosa al Moschettiere - che ha mollato veterinaria a 9 esami dalla fine e tante cose le azzecca - e lui non si è pronunciato. in fondo alle mucche non si consuma la cartilagine. o sì?
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vorrei essere un millepiedi. per avere una zampetta qua e una al mare, dove andrà Francesco stasera. per essere lunga, lunga, lunga e la sera, dopo essere uscita da questo mondo di merda, arrivare con la testolina fino a quella casa che guarda il mare e metterla accanto alla sua sul cuscino. la prima zampetta giù dal letto. e anche l' ultima giù dal letto, ma a casa, così sarei pronta ad alzarmi la mattina e prendere il treno per venire a vendere vestiti per gente ricca.
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vorrei essere un millepiedi per poter indossare 500 paia di scarpe contemporaneamente. tutte con tacco 10. o 12. wow.
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vorrei essere un millepiedi lento lento, talmente lento che il suo culone e le zampette posteriori rimangono sempre indietro di due giorni. potrebbe essere che, mentre oggi la testolina è in questo bianco showroom patinato, la parte posteriore è ancora nel passato, a due sere fa, a quando Francesco era sul palco a fare il saggio di musica.
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vorrei essere un fottuto millepiedi per infilarmi dove ora non posso. e picchiettare con tutte le mie mini-scarpine tacco 10 - meglio 12 - sulla pelle di chi mi sta sulle palle. di chi non capisce che sono io la mamma di Francesco. e nessun altra.
e stavolta non sono incattivita per il brufen . oggi tutto "nature".
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vorrei essere un millepiedi per mangiare le foglie e i fiori. dormirci sopra. e diventare più bella.
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vorrei essere un cavolo di millepiedi..
e andare in giro a cantare la canzone del millepiedi - appunto -, come ha fatto Francesco sul palco l' altra sera. mentre io piangevo. e mi sono anche detta che anche al mio matrimonio pensavo di piangere e invece me la sono risa tutto il tempo e ho fatto lo spogliarello davanti ai parenti.
ma stavolta no, ho pianto.
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premetto che il video è un insieme di foto scattate mentre singhiozzavo tipo post-parto e che ci ho messo un pomeriggio per tirare insieme un video di sole 4 immagini( il resto è nero, non è il vostro pc che non funziona ) che mi permettesse di pubblicare la canzone del millepiedi. perchè deve rimanere nella storia di questo blog. io la amo.
ed è l' unica cosa che voglio sentire.

venerdì 11 giugno 2010

stylish Puglia

Questa settimana, il Moschettiere era in visita ai suoi clienti pugliesi. Con me e Francesco al seguito.
Al mattino lui usciva dal campeggio ( si', sempre rigorosamente avventura ) in perfetta camicia Ralph ( e un giorno aprirò un capitolo su questo ) e noi ci buttavamo sugli scogli bianchi da cui staccare le patelle da mangiare crude.
Andavamo in shorts con la borsa a righe. E il retino.
E poi, quando il sole si faceva più clemente, passeggiavamo per i vicoli di questi splendidi borghi lanciando la nostra moda.
Anche nei castelli. E nelle campagne di ulivi.
Sognando inverni dolci per avere anche noi una siepe di bouganville e persiane color verde mela - o verde smeraldo.
Che con la neve si abbinerebbero anche bene, ma porterebbero troppa nostalgia dal mare. Troppa troppa.
Lunedì ricomincia la campagna vendite. E con questo ho detto tutto.

mercoledì 2 giugno 2010

racconti al ritorno da un' antica metropoli

Il sabato mattina, a Istanbul, si fa colazione con gli amici e le loro famiglie, guardando dall' alto il Bosforo dal chiosco di Malta nel giardino di Yildiz, quartiere di Besiktas.
Si riceve in regalo da Nuket una piantina di vigna caracalla e si fanno le giravolte con Kaan, il figlio di Timur.
Poi, dopo aver visitato Aya Sofia e la Moschea Blu, si fa un giro al Gran Bazaar - che a me sembra solo una bella trappola per turisti attirati da borse tarocche, anche se merita di essere visitato per la sua architettura.
E poi. Poi a passeggio per le stradine di Eminonu, a comprare zucchero al limone e alla cannella, sucuk ( dall' spetto veramente equivoco, ma buonissimo ), marmellata di rose, miele in favo, sapone e conchiglie . Anche una bella clutch bag, con la sensazione di essere nel pieno del periodo piu' kitch della propria vita.
Al mercato dei fiori di Istanbul vendono anche le sanguisughe. Tra le rose, il basilico viola, le oche e i conigli.
E la sera ti vengono in mente questi scorci cosi' genuinamente orientali quando ti siedi su un terrazzo del quartiere di Pera in un moderno ristorante che si chiama
360 - perche' da li' si vede la citta' di Istanbul a 360 gradi.
Poi si riparte, il giorno dopo. E si scopre che Carlo Alberto e' morto di indigestione. Gli eravamo gia' affezionati - e vederlo bruciare e' stato orribile.
Per fortuna il Moschettiere e' un cinico. Io non avrei mai potuto farlo.
Francesco fa finta di credere che Carlo Alberto sia in ospedale con il mal di pancia. Ma secondo me ha capito tutto.
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... Istanbul: